da fiore

DA FIORE

 

Da un racconto di Maurizio Martin

 

 

 

L’Osteria da Fiore è un posto che ha più di 100 anni. Nasce come vendita di vini e pranzi del mezzogiorno. Noi siamo arrivati nel ‘78. Avevamo rilevato questo posto da questo signore soprannominato Fiore e, forse tra i più giovani ristoratori della città, abbiamo ribaltato un po’ alla volta il concetto della cucina statica che esisteva in quegli anni a Venezia. 

 

Da giovane, tutte le mattine al mercato seguivo il grande lavoro della ristorazione veneziana, come il proprietario del Graspo de Ua, della Colomba. Guardavo con curiosità e cercavo di capire le spese che facevano. Abbiamo iniziato mettendo una vetrina del pesce in entrata, e abbiamo iniziato a far da mangiare: mia moglie in cucina, io fuori in sala. E devo dire che abbiamo avuto un grande successo. Venezia quando sono arrivato io aveva 130.000 abitanti: artigiani, commercianti, aziende, uffici…c’era un mondo. 

 

Abbiamo avuto un grande momento di notorietà quando una giornalista americana, Patricia Wells, è venuta a mangiare da noi e ha considerato il nostro modo di fare cucina, specialmente il risotto, tra i cinque risotti migliori del mondo che lei avesse mai mangiato. Questo ci ha creato una pubblicità enorme e ci ha anche scombussolato la vita perché onestamente non eravamo assolutamente pronti, ma non cercavamo nemmeno una notorietà simile. 

Poi, grazie a una mia grande amica, Marcella Hazan, che è stata una dei testimonial della cucina italiana nel mondo, specialmente in America, siamo diventati molto amati dagli americani, molto famosi a New York. Ed è stato quello il grande successo di Fiore – un successo che è stato difficile da inquadrare con l’inserimento di personale, il cambio di tutta la posateria, i bicchieri, le tovaglie. Questo ha fatto sì che per noi per 26 anni abbiamo avuto la stella Michelin – siamo stati i primi ristoranti di Venezia ad avere la stessa. Devo dire però che di recente mi sono reso conto che per noi aveva perso di significato. E da quest’anno non abbiamo più la stella. Continuiamo nel frattempo a proporre la nostra cucina. Una cucina che si esprime solamente sul territorio, com’è la filosofia dei ristoranti della Buona Accoglienza, ovvero con pesce assolutamente freschissimo, con un piccolo inserimento di carne che può variare nel periodo dall’anatra, alla faraona, all’agnello, al fegato alla veneziana (che deve esserci sempre nei nostri menù). 

Però ora vorrei fare una riflessione. Non voglio drammatizzare, ma qui c’è una città che ha perso la sua anima. C’è un’invasione barbarica, e tutti ci chiediamo: a cosa serve? E mi chiedo anche, da professionista, se il mio modo di esprimere la cucina – mio e dei miei colleghi – abbia ancora un senso in questa città. Stabiliamo una piramide: la punta di questa piramide, che sono gli amanti di un certo tipo di cucina, si sta sempre più assottigliando. E c’è un rifiuto da parte di un certo tipo di clientela a doversi scontrare con queste invasioni giornaliere. Io non riesco a trovare una soluzione a questo problema, terrò duro come ho sempre fatto. Ma i ristoranti della nostra categoria stanno soffrendo molto. I miei clienti storici sono invecchiati, alcuni non ci sono più, la generazione successiva non ha il potere di spesa delle generazioni precedenti, le aziende non ce ne sono più, e quindi bisogna per forza affidarsi a chi viene dal di fuori. Ma comunque, se vogliamo combattere un certo tipo di turismo dobbiamo dare un certo tipo di servizio per andare in contrasto all’offerta turistica più becera.

 

Riguardo l’evoluzione della nostra cucina, va di pari passo con la nostra ricerca della materia prima – ad esempio abbiamo inserito, in questo ultimo periodo, una selezione di ostriche molto particolari – ma senza mai tradire la tradizione. C’è sempre il baccalà, tutte le primizie di stagione; i bigoli in salsa non devono mai mancare, i risotti, la pasta fresca coi grani antichi. Tra i secondi, le prime soglioline di porto quando escono, l’anguilla rigorosamente della laguna nord. La pasticceria, tutta fatta da noi. Da Fio re, tranne il vino, viene fatto tutto da noi.

 

Siamo tra i fondatori dell’associazione della Buona Accoglienza e siamo rientrati di recente perché ci fa piacere e ci crediamo molto. Crediamo che si debba investire sul futuro. Dobbiamo creare un modo per per far sì che il nostro tipo di cucina sia capita, collaborare con l’estero. E poi serve investire educazione. Quando sarà il momento, in bassa stagione, credo che tutti noi ristoratori della Buona Accoglienza dovremo investire nei ragazzi, a turno dovremmo invitare una scuola elementare e far capire a questi giovani la bellezza del lavoro e della cucina e anche di certi piatti, di certi cibi. Sono loro, il futuro.