osteria enoteca
San Marco

Da un racconto di Fabio Rigo

 

Enoteca San Marco nasce 22, anzi 23 anni fa (2001 ndr) da un’idea dell’unico socio che in seguito ha preso un’altra strada. Aveva già un locale, un bacaro, ma aveva voglia di crescere e creare qualcosa con degli amici, cioè noi tre soci attuali.

Nessuno di noialtri tre aveva mai lavorato in ristorazione. 

Io lavoravo in portineria in albergo, Massimo era un atleta di triathlon e Luca aveva lavorato come cameriere all’Harry’s Bar. A livello gestionale, dunque, ci serviva una guida, ma per fortuna avevamo già un luogo dove aprire il locale, questo! Al tempo era una trattoria gestita per tanti anni da quattro signore che avevano deciso di ritirarsi e di cedere l’attività

L’aspetto era molto diverso, diciamo una trattoria vecchio stampo, con le perline sui muri, le travi coperte, ma era in vendita e noi, pur indebitandoci fino all’osso siamo subentrati alle signore.

 

Proprio per il fatto che abbiamo impegnato tutte le nostre forze economiche e fisiche, abbiamo partecipato fattivamente ai lavori, nel senso che oltre al nostro impiego, nel tempo libero venivamo qui a fare manovalanza, tutte le demolizioni, trasportare calcinacci, insomma tutto quello che eravamo capaci di fare per contribuire al restauro.

 

Per quanto avessimo un background di relazione con la clientela, diventare ristoratore è come diventare astronauta, ma devo dire che abbiamo avuto da subito successo, probabilmente perché il locale è in un’ottima posizione è perché ci siamo rivolti sin da subito al giusto target. Abbiamo ripagato i nostri debiti in un tempo relativamente breve e siamo passati alla fase due: riuscire a stare con le nostre famiglie vivendo una vita atipica per un ristoratore: avere del tempo libero, lavorare per vivere e non viceversa. Anche grazie a questo approccio, ancora adesso dopo 22 anni, tutti veniamo al lavoro volentieri, andiamo d’accordo e trasmettiamo questa mentalità anche a tutto il personale, tanto che abbiamo gli stessi cuochi da 22 anni, lo staff di sala è qui da 15 anni.

Credo che il fatto di non avere una filosofia speculativa faccia si che anche chi lavora abbia sia le sue soddisfazioni sul lavoro, sia la possibilità di vivere il proprio tempo libero. Questa serenità si trasmette anche in sala, al cliente. Al ristorante si va per mangiare, ma si va soprattutto per stare bene e il clima in cui uno si immerge quando viene da noi fa sì che un ospite che vede le persone lavorare con il sorriso, si alzi a sua volta con il sorriso.

Anche per questo motivo, abbiamo trasformato la cucina in una cucina a vista, perché chi mangia veda chi cucina, ma anche viceversa, perché i cuochi possano avere la soddisfazione di vedere chi si gusta i loro piatti. 

 

Proprio per questo approccio, abbiamo ritenuto opportuno chiedere di diventare membri dell’Associazione della Buona Accoglienza, anche perché ho notato che a San Marco non ci sono ristoranti che ne fanno parte. 

Purtroppo, San Marco nel tempo si è fatto la nomea di un Sestriere speculativo, dove è facilissimo guadagnare anche lavorando male. Fare parte della Buona Accoglienza sicuramente fa sì che ci possiamo distinguere da quella massa di “trappole per turisti”, e credo che anche l’associazione giovi del fatto di avere un ristorante a 50 metri dalla Piazza.

 

Oltre alla nostra adesione all’Associazione della Buona Accoglienza, ci impegniamo da sempre a utilizzare materie prime il più possibile locali: fra poco inizieranno ad arrivare le casse di carciofi dell’isola delle Vignole, prediligiamo – quando è disponibile – l’utilizzo del presidio Slow Food Agnello d’Alpago per contribuire alla salvaguardia della specie, compriamo il pesce dal mercato di Rialto, non importa se costa un po’ di più, non possiamo lamentarci che la città si sta svuotando e poi non foraggiare le attività locali.

Lo stesso concetto vale per frutta, verdura, pane e anche per le attrezzature che sono state fornite e vengono manutenute da aziende del territorio.

Costerà un po’ di più, ma va bene: nessuno di noi tre soci ha il SUV e nessuno ha una casa a Cortina ma tutti e tre traiamo soddisfazione dalla qualità del nostro lavoro.

 

Il menù è abbastanza contenuto, con piatti sia di pesce che di carne, con ingredienti oltre che di stagione, sempre freschi. Preferisco arrivare corto con un piatto del menù, piuttosto che tenere grosse quantità ferme in frigo per essere sicuro di avere sempre qualcosa in carta. Se un piatto finisce, il giorno dopo se ne prepara un altro con gli ingredienti freschi che ci sono a disposizione.

Anche se poniamo molta attenzione nell’impiattamento, cerchiamo sempre di non scivolare nel gourmet. Nel nostro menù difficilmente si trovano ingredienti sconosciuti, e difficilmente un piatto – oltre all’ingrediente principale – ha più di tre ingredienti. 

 

Dall’ingresso dell’Osteria San Marco nell’Associazione non ci aspettiamo un riscontro in termini di numeri, non è quello l’obiettivo. Siamo però fieri di andare a rimpolpare la lista di attività commerciali che rendono viva la città, che fanno sì che questa non perda la propria identità culturale che non è fatta da questi marmi che hanno quattrocento anni, ma dalle persone, da noi veneziani.

Sono molto preoccupato del fatto che quando deciderò di lasciare il locale assieme ai miei soci, non si potrà compiere lo stesso destino che ha avuto quando, 23 anni fa, è passato dalle mani di quattro signore veneziane alle mani di quattro “giovinastri” veneziani. Ho paura che, al di là di tutte le attività di salvaguardia proposte dal Comune (in cui un può credere o meno) non esistano agevolazioni per i giovani che vogliano rilevare un’attività, questi dovrebbero poter accedere al credito in banca, avere la possibilità di pagare meno tasse, avere delle riduzioni sugli affitti che sono folli…

Mi piacerebbe molto che ci fossero dei giovani che, oltre ad aver voglia di fare questo lavoro – che è sempre più difficile – avessero un obiettivo, una prospettiva. Ad esempio, se uno inizia come dipendente e poi col tempo vuole subentrare come gestore dell’attività del suo titolare, portando con sé tutto il bagaglio di competenze che ha acquisito finché lavorava e tramandando conoscenza e cultura, dovrebbe poter avere la possibilità di farlo.