VINI DA GIGIO
Da un racconto di Nicolò, Paolo e Laura Lazzari
Vini da Gigio nasce il primo marzo 1981 quando la mia famiglia decide di rilevare quella che all’epoca era una cicchetteria che aveva qualche problema. Il nonno (di Nicolò, padre di Paolo, ndr) era salumiere alla Giudecca, ma si accorge in maniera lungimirante che quelle che sono le piccole botteghe sarebbero andate a soffrire, per cui vende l’attività e decide di fare questo investimento. Le donne della famiglia – la nonna mia e mia zia – si dedicano alla cucina ai fornelli, mentre mio padre e mio nonno si dedicano al banco, alla mescita e ai clienti. Purtroppo il nonno muore molto presto, dopo qualche anno dall’apertura. Ma nel frattempo, le donne si appassionano sempre di più alla cucina, e mio padre sempre più al mondo vino. Così, nel 1990 facciamo un grosso restauro e decidiamo di abbandonare il banco e la mescita e di trasformare Vini da Gigio in un ristorante.
Nei successivi trent’anni la forma e la sostanza sono rimaste quasi invariate. Si tratta di una cucina semplice, stagionale, tipica. Le lavorazioni sono basiche: si tratta di grigliare, friggere, cuocere al forno ma senza stravolgimenti. Ad oggi, la zia Laura sovrintende ancora la cucina. Io sembro essere l’unico della terza generazione che abbia voglia e piacere di portare avanti quest’attività.
La nostra è una cucina prevalentemente di pesce, con dei piatti a menù che diciamo sono più o meno fissi, e dei fuori menù su richiesta o in base alla disponibilità del giorno – i piatti di giornata, come il masorin (l’anatra selvatica) in periodo autunnale, di cacciagione, o le moeche nei periodi della muta, e poi l’anguilla – che è una cosa che non si trova più molto in giro. Viene affumicata e cotta sulla griglia, è molto apprezzata. E poi, in generale, se ci chiedono un piatto che non è a menù, come gli spaghetti al nero di seppia, e noi abbiamo le seppie in umido, per cui gleli facciamo, ci mettiamo due minuti. Sicuramente uno dei piatti più gettonati – ahimé perché c’è tanto lavoro dietro – sono i tagliolini alla granseola.
Alla fine, la maggior parte delle persone viene qui per mangiare i piatti della tradizione, fatti come dio comanda. È questo il senso: sta diventando sempre più raro trovare posti che fanno quei pochi piatti, fatti bene. Noi siamo un po’ questo baluardo, veniamo consigliati per questo, ed è bello, la gente apprezza di poterle assaggiare di nuovo. La clientela lo sa che troverà queste cose da noi, o perché sono stati consigliati, o perché hanno letto di noi, per cui è una clientela educata – conosce gli oli, le grappe…capisce velocemente in che locale si trova. La nostra sfida è cercare, nei singoli ingredienti – pochi – la loro massima espressione, la loro massima qualità. E di educare il cliente al riconoscere il valore della qualità, nella sua semplicità.
Anche lato nostro, ultimamente mettiamo sempre un piccolo freno a mano per accettare più persone di quelle che riusciamo a gestire per farli contenti. Anche questo fa parte della buona accoglienza: la nostra idea di costanza è dire “facciamo bene quello che ci piace fare e che ci siamo sempre impegnati a fare”. E questo ripaga. Clienti e colleghi spesso ci dicono che quando vengono a trovarci trovano sempre un’atmosfera conviviale, serena e piacevole.
Per quanto riguarda i vini, io (Paolo, ndr) mi sento da sempre affezionato all’idea dei vini del territorio, a tutte quelle micro produzioni venete e del Friuli. E poi abbiamo iniziato anche a cercare cose che fossero differenti – le macerazioni, i non filtraggio – ho una foto di un menù degli anni 80 in cui avevo già Gravner, per dire; una scelta avventurosa. Va bene il convenzionale fatto bene, l’artigianale fatto bene. Come nella musica, nell’arte, è poi bello essere aperti, seguendo un gusto personale, sicuramente, ma che anche assecondi le esigenze delle persone.
Una cosa carina che ci caratterizza è che I bambini personalizzano le copertine delle nostre carte vini. Ne riceviamo tantissimi, dovrei catalogarli; e alcuni li mettiamo in copertina. La cosa bella è che gli viene naturale disegnare qualcosa di inerente al ristorante o a Venezia. E ne escono delle cose bellissime. E così riesci a rilassare il bambino e tutti sono più contenti. E di tanti che venivano spesso coi genitori, ora resta un rapporto talmente vivo che se mi trovano per strada, mi chiamano per salutarmi – a volte mi sento il papà di tante di quelle generazioni. E adesso tanti tornano in coppia, sono cresciuti, e magari ritrovano il loro disegno.
La buona accoglienza non può essere ridotta al concetto di soddisfazione. Noi ci teniamo affinché le persone abbiano un’esperienza di accoglienza a tutto tondo. A volte vedi le persone entrare con il broncio, stanche – perché Venezia è faticosa, a volte affollata. E poi, dopo un paio d’ore di buon cibo, buona musica, servizio cordiale, atmosfera, li vedi rilassarsi e alla fine se ne escono con un sorriso. E quel sorriso mi fa ricordare cosa significa Buona Accoglienza, e lì so di aver vinto su quelle persone, di aver regalato un ricordo diverso e piacevole di Venezia. E anche questo è parte del lavoro di questa associazione – la passione per far stare bene le persone.