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WILDNER

 

Da un racconto di Luca Fullin

 

La Wildner è da sempre stata gestita dalla mia famiglia, in particolare da mia nonna insieme ai fratelli. Veniamo da una storia di ristorazione a Venezia. La mia famiglia è rialtina, del Campo delle Beccarie, e ad un certo punto siamo arrivati ad avere quattro ristoranti a Venezia, tra Rialto e Via Garibaldi. Ad un certo punto, però, lo zio Renzo, che era uno dei fratelli, decide di concentrare gli sforzi economici negli alberghi e, nel 1960, in Riva degli Schiavoni, trova la Wildner (nome ereditato dalla proprietà precedente, anche se il posto era già famoso, era già aperto nell’Ottocento e si chiamava Eldorado) che si era resa disponibile per essere presa in gestione. 

 

Quindi dai vari ristoranti, la famiglia si sposta lì e inizia a gestire questa pensione. Era sia albergo che ristorante. Viene gestito come una trattoria di famiglia, una buona cucina tradizionale. A un certo punto, con l’età, mollano un po la parte ristorante, non riuscivano a concentrare le proprie energie.

Poi sono arrivato io. Decidiamo di rifare la formula della trattoria tradizionale stagionale e di lavorare con il territorio e le ricette legate alla cultura culinaria veneziana. E quale è stata la matrice mia? È stata Slow Food. Io ho conosciuto Petrini quando ero giovanissimo e ho cambiato idea sulla materia prima, la stagione, il territorio, la tradizione culturale, il vedere il ristorante come un mezzo per fare cultura. Chiaro, noi siamo su un posto molto turistico, diciamo che è diventato veramente un angolo di turismo di massa a Venezia, purtroppo, perché la Riva degli Schiavoni era nel dopoguerra la più bella promenade del mondo. Ci sono queste immagini che ritraggono queste donne con il cappello che facevano questa camminata che portava poi all’arsenale, ai giardini della Biennale…

 

Oggi la Riva degli Schiavoni è diventata un interporto, una zona di scambio di migliaia di persone. Noi siamo tra le ultime famiglia che ancora danno ospitalità in prima linea ai forestieri. Questa è la nostra storia, questa è la vera Venezia.

 

Alla Wildner, l’idea di cucina ha sempre la stessa matrice veneziana ma è anche inevitabilmente modernizzata. Ci sono tecniche in cucina che sono arrivate col tempo per garantire colori e sapori ed è normale. Poi la cucina si è evoluta anche in base alle esperienze che abbiamo fatto nella nostra vita. La matrice è ovviamente è la stessa perché era la tradizione, il mercato, la stagione a trasmettere queste emozioni in un contesto che è sempre quello – la famiglia. Il menù dunque riflette la

stagionalità ma ci sono dei piatti che ci portiamo dietro da sempre. Cerchiamo per quanto più possibile di rifornirci dai mercati territoriali.

Diciamo che proprio la visione comune della Buona Accoglienza porta a fare determinate scelte all’interno del ristorante, e il filo conduttore dei ristoranti che sono dentro l’associazione è proprio questo proporre una cucina pensata su valori comuni, che sono quelli che abbiamo detto – territorio, stagionalità, familiarità. Oggi sembra una cosa banale, perché a Venezia ci sono tante realtà di giovani che sono cresciute, ma ti posso assicurare che vent’anni fa, quando ho cominciato io, Venezia era il posto dove la nomea era che si mangiava male.Oggi possiamo dire che abbiamo alzato di molto il livello della cucina sia interpretata dai veneziani e sia dagli chef – Alajmo, Bartolini…. Sono arrivati gli chef e sono arrivate le famiglie che hanno investito. Sono arrivate le partnership, sono arrivate le società che hanno messo i capitali proprio a Venezia quindi questa cosa ha portato sicuramente un innalzamento del livello della cucina veneziana. 

 

La Buona Accoglienza deve essere prima di tutto una certificazione. C’è un filo conduttore di qualità e questo deve essere chiaro per chi ne fa parte e per gli utenti finali. E sicuramente la Buona Accoglienza sempre di più dovrà essere radicata nelle figure delle famiglie che vivono i locali. Non può mancare quel senso di ospitalità casalinga, quella coccola in più, quel contatto più umano e familiare, e questo lo fanno le persone, e questo a prescindere di quello che ti trovi nel piatto, perché siamo tutti anche molto diversi in quel senso lì. Entrare da Vini da Gigio e trovare padre, figlio, sorella; camminare in Riva degli Schiavoni, entrare qua e vedere me, mio padre, il cane…c’è qualcosa di vero, di autentico. Mi sembra che la gente abbia bisogno di questa cosa più di prima. Chiaro, questo vale per uno che capisce Venezia, entra in questi circuiti ed è una persona informata, una persona che cerca questo. Una persona che ha voglia di quell’emozione, ha bisogno di quel rapporto personale che vale più del piatto stesso, della ricetta: quella cosa ha un valore astratto enorme. E più passa il tempo più ce l’avrà.